PERIODO
QUARTO
1405 - 1850
CAPO I
DEL RAMO CADETTO DELLA
CASA ESTENSE FINO ALLA SUA ESTINZIONE IN BERTOLDO D’ESTE NEL 1463
Ci è pur grato ritornare
ancora una volta a parlare in questa storia della illustre casa dei
Principi Estensi, abbenchè il primogenito suo ramo si fosse già
stabilito a Ferrara dopo aver dominato nella nostra Este più
che due secoli. Sia questo un felice innesto al presente Periodo, il
quale deve essere il più scarso di storici avvenimenti per la
patria atestina.
Ricordiamoci (pag. 403) di quel Marchese di Este Francesco, figlio di
Obizzo II, il quale proditoriamente ucciso a Ferrara (1312) dai soldati
Catalani, non poté trasmettere ai suoi eredi il principato, che
passava per sempre nei figli dell’altro suo fratello Aldobrandino
.
Azzo IX adunque e Bertoldo, figli rimasti dello sfortunato Francesco,
comechè possessori di molti loro beni allodiali nel territorio
atestino, scaduti dalla signoria, a cui furon appellati, siccome vedemmo
i figli di Aldobrandino (pag. 404), rivolsero i loro sguardi ad Este,
culla della possanza de’ loro antenati. Quivi recarono il loro
soggiorno godendo della protezione del padovano governo, abbandonandone
però ogni politico reggimento .
Que’ due Marchesi presero ad abitare non più nel loro antico
palazzo dappresso al castello già divenuto proprietà della
repubblica di Padova, ma un nuovo situato in contrada detta delle Grazie
davvicino alla chiesa, cui o acquistarono allora od ebbero nel retaggio
di famiglia. Traccia sicurissima ne troviamo anche in oggi in molte
arme dell’estense famiglia frammezzate alle travature di quei
locali, che furon poi cangiati in monastero. È dessa l’aquila
bianca ad ali raccolte in campo azzurro. Anche questa memoria monumentale
a caso da pochi scoperta, deve esserci cara mentre dobbiamo desiderare
che, meno al bujo si possa, cammini la mia narrazione nel riandare queste
gloriose nostre antichità . Ed ecco perché non deve essere
intralasciato da questa storia quanto riguarda questo ramo cadetto de’
Marchesi Estensi, ch’ebbe stanza fra noi, benché poi troppo
presto si estin-guesse.
Decesso immaturamente Azzo IX senza figli (1317) e più tardi
Bertoldo (1343), rimase un unico figlio di nome Francesco, del quale
doveva suonare chiara la fama in avvenire, come di uomo valoroso ed
anelante a riprender il suo posto nel principato di famiglia. La fortuna
pare offrirsegli propizia dopo la morte del suo cugino Obizzo signore
di Ferrara e di Modena (1352) il quale non lasciava che figli di contestata
legittimità. Francesco allora si accinse a far valere coll’armi
i suoi diritti alla signoria di Ferrara e di Modena. Ritiravasi a Venezia,
e si rendeva suoi protettori i Malatesta da Rimini, i Gonzaga da Mantova,
e i carraresi da Padova. Ma assai debolmente assecondato, dopo uno scontro
male arrivatogli nel ferrarese col suo rivale, e male pur riuscito presso
la lega de’ principi italiani che si concludeva a Legnago (1353),
cedé il campo e s’avviò a Milano presso Luchino
Visconti suo suocero la cui figlia Catterina aveva egli impalmata. Colla
mediazione di Carlo IV Imperatore, gli venne restituito tutto quanto
gli era stato confiscato; ed egli veniva ad abitare nella prediletta
sua Este.
Ma quell’anima guerresca stanca dell’ozio ripigliava pochi
anni appresso (1359) il mestiere dell’armi, arte che restò
partaggio nella sua famiglia sino all’ultimo suo discen-dente.
Entrò allora ai servigi del Visconti, e compieva imprese e fatti
che a me non tocca di raccontare. Basti per noi il sapere che fatta
la pace (1375) rimase ancora in Milano, dove compiva sua giornata nel
1385, lasciando erede di tutti i suoi beni il figlio Azzo X, e a tutta
Italia la memoria legando del suo grande coraggio e fierezza nell’armi.
Azzo già maturo d’anni e di senno, comechè nato
fosse nel 1344, lo si trova nel 1393 tener dimora in Toscana, ove udita
gli venne la morte dello Estense Alberto Signore di Ferrara (30 Luglio),
il quale non altrimenti che il suo padre Obizzo lasciava un figlio non
legittimo, che fu Nicolò. Ma Azzo credé giunta la sua
ora per aspirare al principato. Dopo varie vicende di guerra combattute
sull’agro ferrarese, rimase il nostro Marchese vinto e prigione
dell’avventuriero Corrado Conte di Altemberg, il quale per non
perderlo nella vita, lo consegnava ad Astorgio Manfredi di Faenza (1395).
Trattandosi di un Principe che potea tornar utile il salvare, il veneto
governo si presentò mediatore, sel fece consegnare dal faentino
Signore, e lo mandò in Candia, ove rimase oscuro sino al 1405.
Fu in quell’anno richiamato per prestar il suo braccio alla repubblica
contro il Signore di Ferrara, amico allora de’ Carraresi di Padova,
ma deposte ch’ebbe Nicolò Estense le armi e caduti i Carraresi,
i Veneziani reputarono di allontanare di nuovo a Candia il misero Azzo.
Conchiusa più tardi (1407) la pace tra il Doge e il ferrarese
Signore, fu richiamato l’esule Marchese, e fu con esso convenuto
che oltre la sua libertà, riprender dovesse e godere de’
suoi feudi, possessioni, livelli ed altre rendite che teneva ne’
territori di Este e di Monta-gnana. Venne pur lasciato libero di fissare
il suo soggiorno in Este, dove si ritraeva spossato da tanti colpi dell’avversa
fortuna, e quivi poco tempo innanzi lasciava la vita (1415. 7 Settembre).
Venne sepolto nella chiesa di S. Francesco de’ PP. Minori Conven-tuali
, nella quale furon poi sepolti gli altri Marchesi di sua famiglia.
Due figli rimaser di Azzo, Taddeo e Francesco . Taddeo redava dal padre
la vigoria nello adoperare le armi da farsene uno de’ guerrieri
più famigerati de’ suoi giorni. È certis-simo che
nella sua gioventù dimorava in Este, e ne abbiamo bel documento
che onora pure la nostra Comunità, la quale grande affetto dimostrava
a’ suoi Marchesi i quali tanto l’avevano illustrata ne’
secoli precedenti.
Taddeo, correndo l’anno 1417, veniva invitato dal reggimento di
Padova come suddito di questa a dare una speciale contribuzione di 100
lancie e 100 pedoni. Il Comune estense insorse tosto per opporsi ad
una tale misura, e spedì a Venezia due suoi consiglieri Bartolomeo
di Mario e Francesco Tornio, i quali a quella Signoria rappresentassero
che il Marchese Taddeo era non altro che di patria estense, e che mercè
il Privilegio concesso all’atto della spontanea dedizione del
popolo atestino alla Repubblica (pag. 430), il Marchese stesso dovea
in ogni caso far parte del Comune estense e non altrimenti del padovano.
Il Doge Mocenigo ordinava al Rettore di Padova di cessare dalla ingiusta
pretesa. Ciò tutto ci è palese da una Ducale, che ci ammaestra
in pari tempo chiamarsi a quest’epoca estensi i Marchesi e partecipare
al comunale nostro Consiglio, dove a chiare note sta ivi espresso che
< Taddeo Marchese è cittadino estense, dalla qual terra hanno
avuto lor culla tutti i progenitori suoi .
Allevato fra noi, si affezionava Taddeo alla illustre repubblica, la
quale ben presto pensò di adoprarlo nelle arti di guerra. Primo
saggio ne diede il Marchese militando contro Sigismondo Re d’Ungheria
(1418). Perdurando quella guerra, che lunga fu e sanguinosa, veniva
Taddeo innalzato al supremo comando delle forze armate, e frattanto
conduceva a buon termine le fazioni armate nell’Istria (1421).
In quest’anno lo troviamo ancora presente in Este nell’occasione
che quivi si recarono alcuni deputati della Signoria a giudicare de’
danni e calamità recate dalle acque, che aveano coperte buona
parte del territorio atestino.
I Veneziani ammirati del suo valore, impiegarono ben presto Taddeo nella
guerra contro Filippo Maria Visconti Signore di Milano, e nel 1426 troviamo
il Marchese comandare un corpo dell’esercito capitanato dal celebre
Carmagnola.
Poco appresso (1430) fu chiamato da Martino V Papa, acciocché
colle sue masnade composte in parte anche di gente atestina, servisse
alla chiesa per assoggettare Bologna tenuta allora dai Canedoli. Trovandosi
il Marchese alla battaglia combattuta tra Imola e Castelbolognese (28
Agosto 1434) ebbe solo la fortuna di fuggire, mentre gli altri condot-tieri
suoi compagni eran tutti caduti nelle mani nemiche. Sempre in mezzo
alle armi, Taddeo dopo la morte del Duca di Milano fu spedito a presidiare
Piacenza datasi a’ Veneziani, cui però dovette abbandonare
a Francesco Sforza, che la prese d’assalto, e lui stesso faceva
prigioniero. Reso tosto alla libertà, ripassava al campo dei
veneti a Giaradadda, e posto a difendere Mozzanica, colà moriva,
correndo fama che venisse avvelenato (21 Giugno 1448).
È assai prezioso per noi Estensi il testamento di Taddeo che
ci è rimasto, da lui scritto nel 1443. Lascia con esso di essere
sepolto nella cappella di famiglia in S. Francesco d’Este, nella
quale teneva la sua arca alla parte opposta a quella di Azzo suo padre
- Obbligo impone al Comune di Este di mantenere un lettore pei reverendi
Padri France-scani di quel Monastero - Ordina poi la fabbrica di una
Chiesa intitolata alla Vergine, sulla forma di quella delle Carceri
con unito convento di 12 frati della regola di S. Domenico - La sua
moglie Margherita de’ Pii signori di Carpi, sia tutrice del suo
unico figlio Bertoldo, erede universale de’ suoi averi - Sia finalmente,
in segno della sua affezione alla patria, esecutrice della sua volontà
la Comunità atestina .
Bertoldo, che dovea esser l’ultimo di questo ramo de’ Marchesi,
teneva anch’esso sua dimora in Este, ma dopo la morte del padre
si dava tutto al mestiere dell’armi in servizio della veneta repubblica.
Sotto i vessilli dell’adriaca donna combatté valorosamente
contro i Milanesi e il loro celebre condottiero Francesco Sforza (1450).
Conchiusa la pace (1454), si ritirava di nuovo Bertoldo in Este, ove
nello stesso anno (11 Febbrajo) Borso Estense primo Duca di Ferrara,
con speciale atto gli faceva conferma di tutte le donazioni di beni
già fatte al suo avo Azzo X (pag. 480) coll’obbligo dell’annua
presentazione di uno sparviero. I quali beni ci sono anche indicati
così: la metà delle valli di Peverella, Campolongo, Corso
della Degagna, Arsura Lunga, Campecchio bianco ed altre terre nelle
parti del territorio di Este, Vescovana, Megliadino e Vighizzolo .
Bertoldo si trovò a Venezia, allorché il medesimo Duca
Borso andò a visitare quella metropoli. Ivi celebrossi in quell’occasione
solenne torneo, nel quale il nostro Marchese ebbe la palma di vincitore.
Ma la più celebre impresa di Bertoldo (fatalissima per questa
patria) si fu allorché venne creato dalla veneta Signoria a capitan
generale della armata di terra contro i Turcheschi condotti da Maometto
II, che sempre più minacciosi s’avanza-vano nelle parti
della Grecia. Abbandonava allora Bertoldo il suolo estense, che non
dovea più rivedere. Passato nella Morea, quivi s’impadroniva
di Anzo e di altre terre, e in fine componeva l’assedio a Corinto,
facendo eseguire opera degna de’ più famosi capitani. Colle
braccia di 30.000 guastatori nel solo spazio di 15 giorni fe’innalzare
un muro protetto da una fossa d’ambo le parti serrando così
tutto lo stretto, affinché ai Turchi non restasse pertugio a
penetrare nella penisola. Ma nel punto che il prode marchese si era
levata dal capo la celata per ristorarsi dal soffocante calore del cielo,
un sasso partito dalle mani de’ nemici dritto gli percuote la
tempia lasciandolo semivivo. Rilevato poté vivere ancora per
alcuni giorni, ma alla fine dovè soccombere, compianto da tutta
l’armata, la quale scoraggiata da tanta perdita vide andare al
peggio quell’impresa.
Benché la mortale spoglia del Marchese rimanesse su greco suolo,
Borso Duca di Ferrara, deposti gli antichi odii di famiglia, volle che
il Bertoldo e suo padre Taddeo restasse perpetua ed onoranda memoria
nella terra a loro natale di Este. Quivi nella chiesa di S. Francesco
ordinò fosse eretto un condegno monumento. Portava esso due statue
in pietra raffiguranti i due Marchesi Taddeo e Bertoldo, ultimi del
ramo cadetto degli Estensi, con sottopostavi iscrizione estesa in bello
stile del Lazio e che noi qui daremo poeticamente tradotta da valente
penna di un nostro concittadino :
<< Taddeo qui giace , e qui Bertoldo il figlio
<< Cônti nell’armi e nella guerra entrambi,
<< E di que’ tempi alto sostegno e onore
<< Del Veneto domìno. Il sangue estense.
<< D’ambi irrigò le generose vene.
<< Taddeo fu schermo a Brescia, e poi che largo
<< D’eccelse lodi ebbe tributo, i lumi
<< Là ‘ve un tempo i Cenomani regnaro
<< Chiuse di morte a inevitabil sonno.
<< Bertoldo il suol che da Corinto ha il nome
<< Sgombrò dai Turchi, ed onorato cadde
<< Sotto le mura. Tua pietade grande,
<< Inclito Borso!, il cenere raccolto
<< D’ambi rinchiuse in un medesimo avello.
Fu veramente patria sciagurata, che dopo tre secoli (1797) la mal consigliata
ira repub-blicana gettasse in pezzi quel monumento, il quale non era
per questa città che una gloriosa commemorazione. Chi visita
in oggi questa città, invano ricerca una pubblica memoria di
quella celebre prosapia estense che per quattro secoli ebbe qui stanza,
e veruna rimembranza di terrore e di sangue vi avea tramandato da potersi
in alcuna guisa scusare la commessa barbarie . Passano i secoli, ma
non per la storia, che fatta rediviva e più bella, si fa giusta
estimatrice degli uomini e delle cose. Nobile ammenda or io proporrei
a’ miei concittadini. Sia locato in sito distinto della nostra
città una marmorea affigie di alcuno fra’ più celebrati
nostri Marchesi, che sia perenne memoria delle avite glorie di questa
patria e ai cittadini e a quelli che visitano questa amena contrada,
come non ne mancano esempi in altre città italiane. Son belle
pure le nuove vie, son belle le altre comodità procurate al cittadino,
ma perché si lascieranno obliate le patrie glorie ed i monumenti
custoditori di quelle fino all’ultima posterità? Sia questo
un patrio desiderio ch’io presento all’estense cittadinanza.
CAPO II
DELLE COSE MEMORABILI AVVENUTE
IN ESTE NEL SECOLO XV
1405 - 1508
È propria natura di quasi
tutte le storie municipali italiche di andarsi abbreviando.Col trapassare
che fanno dall’antica alla moderna età. Ed infatto, allargatisi
gli Stati e gl’Imperi sulle rovine delle comunali libertà,
le città caddero a poco a poco nel generale sistema di politica
amministrazione di quello stato, al quale vennero unite o colla forza
dell’armi o colla spontanea loro dedizione.Nulla meno nella vita
di un Comune, benché faccia adesso parte di un governo più
o meno esteso, vi puoi però sempre riscontrare alcune, dirò
così, storiche pulsazioni, che ne offrono come una speciale fisonomia,
da potersene meritamente occupare chi fa il racconto di una storia municipale.
Io di queste pulsazioni andrò qui brevemente intrattenendo il
mio benigno lettore, affine di dar termine al quadro che impresi a delineare,
riservando poi alla Seconda Parte di occuparmene in certi oggetti più
strettamente municipali, siccome mi proposi nella Introduzione al presente
lavoro.
Prima e costante cura io trovo essere stata nel nostro Comune di Este,
dacché spontaneamente si era posto in balia al veneto Leone,
di mantenere intatta e invariabile, per quanto lo si potesse, l’accordatagli
carta di privilegio, che fu premio alla sua volontaria dedizione (pag.
430). Vennero spesso intaccati, come vedremo, i nostri diritti dal Reggimento
di Padova; donde gravi e ripetute querele ne furon mosse da’ nostri
al veneto Senato, il quale però il più delle volte fece
piena giustizia contro le reclamate invasioni.
A sviluppo della pubblica economia troviamo in quest’ epoca una
disposizione che onora la previdenza di questa Comunità. Estenuata
la estense popolazione da tante vicende ed assalti che l’aveano
stremata nel trapassato secolo, opportunamente si diede a promuovere
un qualche aumento, coll’accordare a forestieri per tenuissimo
canone il terreno per fabbricarvi, specialmente di contro al nostro
castello sul ciglio del fiume e in Borgo nuovo. Adescaronsi dell’offerta
anche alcuni Ebrei di Padova, i quali eresser quivi un banco a benefizio
della cittadinanza .
Una novità frattanto avveniva pegli estensi nel 1410, allorché
infieriva la guerra tra i Veneziani e Sigismondo re d’Ungheria.
I Padovani offersero di spedirvi a tutte loro spese 100 lancie e 100
fanti. Anche il Comune atestino ne contribuiva la sua parte in ragione
della sua entrata estimale e così non dismetteano gli Estensi
la carriera dell’armi. Una tale imposizione, come accade, divenne
poi perpetua, ed era sostenuta dalla città, dal clero e dal territorio.
Ben presto (1413) cominciarono le infrazioni alla nostra carta per parte
del Comune di Padova. Voleva desso qui mandare de’ suoi per esigere
le gabelle; ma nol soffrivano gli Estensi, ché fatte le dovute
rappresentanze al Senato, ne riportarono una Ducale del 18 Maggio indirizzata
al Rettore di Padova, colla quale ordinavasi non doversi aggravare con
insoliti pesi gli abitatori di Este; il qual ordine troviamo pur rinnovato
nell’angolo seguente.
Non cessando la guerra ungarica, i Veneziani difettavano assai di denaro,
per lo che si rivolsero alla terra ferma per averne a prestito (1414)
dichiarandosi che passato il pericolo, risorgerebbero i privilegi; ma
anche questa imposizione in denaro andò perpetuandosi a carico
di tutto il territorio patavino compreso l’estense; e si fu allora
che venne rinnovato l’estimo delle città e creato quello
del territorio, che sembra abbia da qui propriamente avuto suo principio.
Ci è assolutamente impossibile conservar qui una qualche ragione
di continuata istoria, mentre ci è forza a tratti e sbalzi discorrere
sulle vicende di questa patria, la cui condizione non permettavale che
di seguire gl’impulsi della dominante repubblica.
All’anno 1416 ci capita all’occhio un fatto, che dà
a vedere non affatto sicuro trovarsi il veneto governo delle recenti
sue conquiste, alle quali (e ad Este pure) teneano l’occhio altri
principati. Si misero in tutt’ordine le fortezze guardanti al
nostro castello, e questo pure venne più fortemente presidiato.
Rubino da Lico stava qual capitano a guardia della Torre di S. Pietro,
Nicolò Rossello del castello di Vighizzolo, e altri due capitani
teneano in vista il forte di Migliaro e quello più grande di
Valbona.
Convien dire che seguitassero gli attacchi alla nostra carta del 1405,
se, troppo presto in vero quasi fosse dimenticata, ne troviamo una solenne
conferma all’anno 1425 promulgata dal Doge Pasqual Cicogna, che
venne unita al nostro Statuto . Non sarà però questa l’ultima
volta che, attese le avvenute infrazioni, ci venisse riconfermata quella
Carta.
Ed appunto a tranquillare le Comunità di Terra ferma sul fatto
dei concessi Privilegi all’epoca della loro dedizione, veniva
sancito solennemente nel Consiglio dei Dieci (27 Giugno 1434) che tutti
gli ordini che per avventura si fossero dati dai Rettori delle città
in opposizione alle concessioni, patti e privilegi già loro consentiti
per lo innanzi, fossero e si ritenessero sul punto rivocati, comminando
la pena ai contravventori di ducati mille, bando dal Maggior Consiglio
e inabilità per un quinquennio ad ogni pubblico offizio .
Si può credere che per molto tempo appresso il nostro privilegio
sarà rimasto immune da qualunque attacco per parte del Reggimento
e Comunità di Padova. Il mantenere intatti, come in gran parte
lo furono, sino alla sua caduta (1797) gli accordati privilegi, sicuro
mezzo era tenuto da quell’avveduto governo a tenersi cattivati
i paesi di nuova conquista, i quali vivendo così divisi di leggi
e d’interessi, servivano forse di troppo agli scopi conservatori
di quella famosa Repubblica.
<< Essa, dice il nostro Leoni, contenta a poco tributo, giunse
con profonda politica al <<difficile ottenimento di porre i popoli
in facilità di soddisfare ai propri doveri, e abbenchè
<<misteriosa nelle interne azioni, vantò leggi, in cui
il confine dei poteri era con chiarissima <<precisione marcato
>> .
Nulla più io trovo di abbastanza rimarchevole che sia accaduto
in queste contrade nel decimo quinto secolo.
CAPO III
ESTE PER L’ULTIMA VOLTA
È POSSEDUTA DAGLI ANTICHI SUOI MARCHESI E DUCHI DI FERRARA E
DI MODENA
1509 - 1514
Quasi lume sullo spegnersi qui
si ravviva alquanto la mia storia. Risorgono ancora una fiata gli aviti
diritti della Casa che tuttora si nomava da Este, la quale non aveva
giammai, siccome vedemmo, in modo solenne rinunciato a questa contrada,
che fu sua culla e prima gloria. E l’occasione ne venne, allorché
si contrasse quella celebre lega detta di Cambrai tra Francia, Spagna,
Austria e il Papato, alla quale aderì pure con tutte le sue forze
anche Alfonso Estense Duca di Ferrara, al precipuo fine di ricuperarsi
l’antico suo feudo atestino e abbassare quella repubblica finitima
a’ suoi stati, la quale co’ suoi acquisti in Terra ferma
minacciava di elevarsi superiore ad ogni altra potenza in Europa (1508).
I collegati aveano già recato tutto il peso delle loro armi sulle
terre veneziane. Este, Montagnana e Monselice erano state bene presidiate
all’appressarsi di tant’oste condotta dallo stesso Imperatore
Massimiliano. Ottenuta ch’ebbero gl’imperiali una vittoria
presso alla Policella, occupavano con Rovigo tutto quanto il Polesine,
e dirigendosi a Montagnana ne accettavano la resa; quindi fattisi innanzi
sotto Este e Monselice, le due fortezze aprirono tosto le porte ai troppi
numerosi vincitori.
Entrato allora Alfonso in Este, ne prese possesso, e fu il primo ad
acquistare il premio del meditato riparto della Terra ferma veneziana.
Trovandosi come in casa sua propria fece atterrare tutte le insegne
veneziane, e le ville e case de’ Veneziani ordinò fossero
vendute all’incanto . Si fecero in egual tempo prigionieri i due
podestà veneti di Este e Monselice con molti altri nobili, e
traslocaronsi sotto buona scorta a Ferrara. Il Duca delegava tosto al
governo di Este un tal Gerolamo Rovella, a Montagnana Agostino Villa,
e a Monselice un Giovanni Beltramo (Luglio 1509). In tal guisa la Casa
Estense, da più di un secolo che non vi poneva piede (pag. 424),
ripigliava l’antico suo feudo, cui intendeva di riunire al proprio
Ducato oltre Po, i due maggiori fiumi dell’Italia così
abbracciando colle sue fortunate conquiste.
Ma poco durava quella troppo facil vittoria, ché il Leone dell’Adria
non invano si mise a fortemente ruggire sulle prede perdute. Andrea
Gritti valoroso condottiero delle genti venete dopo aver per sorpresa
rioccupata Padova, rientrava in Monselice traditagli dal perfido Beltramo
in accordo con un terrazzano detto Toso Dainese, i quali però,
presi poco dopo dal ferrarese Signore, furono pubblicamente decapitati.
Dovè tosto arrendersi anche Este alle armi venete, e vi fu spedito
tosto a podestà Daniele Moro .
L’Estense Alfonso non perdeva però il coraggio, ma ritentava
l’impresa. L’Imperatore volendo ad ogni costo ricovrare
la sfuggitagli Padova, il fiume Bacchiglione che a Longare si biparte,
rivoltò tutto di verso ad Este, affinché i Veneziani non
potessero usare di quell’acqua in difesa della città. Quindi
ebbe principio il celebre assedio di Padova. Nel frattempo, l’Imperatore
e il Duca per non istare neghittosi, col valore dei fanti Spagnuoli
ritoglievano Este e poco appresso Monselice, facendone alla lor volta
prigionieri i due Podestà veneziani (Agosto). Sappiamo che il
Duca Alfonso venne allora accolto dal popolo estense come in trionfo,
il quale non poteva obbliare le speranze di suo ingrandimento sotto
quella prosapia che allora rifulgeva sopra tutte in Italia.
Il Duca non perdendo un minuto di vista lo scopo suo in quella guerra,
chiese tosto dall’Imperatore una nuova investitura dell’antico
possedimento Estense; e gli fu quindi concesso << Este castello,
dal quale la prosapia del Duca trasse suo antico nome, con <<tutto
il suo distretto e territorio e coi beni del magnifico Marchese Bertoldo
>>. Si eccettuarono soltanto i beni già divenuti proprietà
dei veneti patrizj e di altri privati allora detti rubelli. Per altro
l’Imperatore, assai vuoto, come è palese in ogni storia,
di denaro, pretese una mercede della sua concessione di ben 40.000 ducati,
che il Duca si obbligava in più fiate di esborsare. Con altro
diploma otteneva il Principe Estense anche l’investitura di Montagnana
.
Non era però per la nostra Ateste finito quel sanguinoso dramma,
ché la fattane occupazione grave rammarico recava al veneto governo,
il quale ormai anelava a trarne vendetta; e queste contrade doveano
ancora molto soffrire dagli amici e nemici suoi. All’appressarsi
del nuovo anno 1510, i veneziani aveano già con la forza dell’armi
rioccupato Rovigo, e già erano rientrati in Este e Montagnana,
che per la seconda volta dovetter perdere il loro Signore. Ci sono affatto
ignote le peculiari circostanze e fatti che accompagnarono la ripresa
delle terre estensi. A’ danni del Duca rimontarono il Po dieciotto
galere venete, i cui armigeri faceano sbarchi qua e là mettendo
a ferro e fuoco la campagna ferrarese. Ma Alfonso alla sua volta nel
4 Dicembre riportava una brillantissima vittoria, e passato il verno
univa le sue genti agli alleati per riprendere le offese e ricuperarsi
l’agro atestino. Presentandosi alla Badia, la prese di tosto facendo
strage di quanti osarono fargli resistenza. A bell’agio allora
poté rioccupare Lendinara e Rovigo ed altre castella del Polesine
loro Signore, il quale poneva fine pur una volta a tante calamità.
Ben presto Este e Montagnana, ritornavano nelle sue braccia, mentre
Legnago l’accoglieva poco dopo per capitolazione. Impadronitosi
finalmente Alfonso della rocca di Monselice con grande valore, egli
teneva una volta ancora in sua mano l’antico paese atestino retaggio
degli avi suoi. Ultima esistenza del marchesato Estense.
Il Pontefice Giulio II staccavasi d’improvviso dalla lega, e fattosi
dalla parte de’ Veneziani mandava sue genti ad attaccare il Duca
nel ferrarese. Mentre così questi stavasi obbligato alla difesa
di Ferrara, la veneta armata rioccupava colla forza dell’armi
Montagnana. Questa caduta, gli Estensi con Monselice e Rovigo si calarono
agli accordi e ricevettero i veneti presidii.
A questo punto nuova serie di grassazioni e sventure cominciava per
queste terre fatte segno all’ira degli invasori collegati, i quali
non dismetteano da combattere le ripullulanti forze della repubblica.
I Francesi condotti dal Trivulzio e dal Palice, guerreggiando in queste
parti, appena seppero sguarnita Montagnana, la presero, e poco appresso
occuparono Este, Cologna, Lonigo, e più tardi anche Monselice
(23 Luglio).
Ma quella guerra si prolungava, e puossi ben immaginare quanto ne dovesser
esser tormentate queste terre percorse continuamente da Tedeschi, Spagnoli
e Francesi collegati ai danni della repubblica. Abbiamo notizie dagli
storici di quell’epoca Guicciardini, Paruta, Bembo ed altri che
intorno all’anno 1513 saccheggi e rovine erano arrecate ad este
e suoi villaggi all’intorno, specialmente da Prospero Colonna
condottiero delle genti papesche e spagnole. Le terre che maggiormente
soffersero oltre la nostra città furono Ponso, Brescia, Piacenza,
Granze e S. Elena.
Memorabil fatto successe in Este nell’anno 1514 per opra dell’Alviano
capitan generale delle venete armate. Inteso che quegli ebbe essersi
recata gran quantità di frumento dai nemici entro il castello
di Este, alla cui guardia stavano 300 fanti e 100 cavalli degli Spagnuoli,
mandò Antonio da Castello con buona mano di soldati a piedi ed
a cavallo. Sopraggiunti questi sotto di Este fra l’oscuro della
notte, accostarono le scale alle mura, e le superarono forzando ad arrendersi
tutto quanto il presidio, il quale a null’altro stava intento
che ad asportar parte del grano per dare il resto alle fiamme .
Danni gravissimi nelle atestine contrade continuarono ad arrecarsi anche
durante le trattative di pace, male osservate dal Cadorna Vicerè
di Napoli co’ suoi Spagnoli, i quali commisero saccheggi e immanità
di ogni specie, specialmente in quella parte di territorio, come ce
lo dice il Guicciardini, che si frappone tra Este e Montagnana .
Cessata quella lunga e luttuosa guerra, anche Este avrà respirato
una volta da tante disavventure, mentre cadeva di nuovo nel politico
ordinamento della veneta repubblica, la quale, ad onta della dimostrata
propensione degli Estensi per ricuperare l’antica loro famiglia
marchesana, lor conservava intatti ed immuni i concessi privilegi. Nuovo
motivo di lode è questo certamente per quel governo.
Per quasi tre secoli, vale a dire fino alla caduta di Venezia (1797),
rimase Este sotto la veneta signoria, conservando quella storica invariabilità,
alla quale restaron soggette quasi tutte le città della Terra
ferma formanti l’antica Marca Trivigiana.
Qui potrebbesi dire fornita la mia storia durante il periodo veneto.
I susseguenti duecento e ottantatre anni, ne’ quali invariato
durò fra noi il dominio veneziano, non prestano propriamente
a dare materia ad una serie storica di fatti ed avvenimenti. Le città
di Terra ferma, ritenuti alcuni privilegi (che però andavano
debilitandosi) non ebbero più che una vita regolare se si vuole,
ma traente alquanto alla immobilità. Le poche cose e cangiamenti
che andarono succedendosi durante quel regime, rifletterono oggetti
i più strettamente municipali, che io appunto, siccome ho fatto
alla fine del terzo Periodo, ho pensato di riunire qui appresso sotto
un solo punto di vista. Né credere vogliasi che quasi stanco
del percorso cammino, io qui intenda di tagliare corto per arrivare
al desiato fine. Si vedrà in effetto nel prossimo Capo, siccome
il mio soggetto di sua natura ricerchi una simile trattazione.